Casoli è un paesino del chietino abbarbicato su di un poggio ricoperto da una rigogliosa vegetazione interrotta da grandi macchie di ulivo che è una pianta molto costumata in questo paese tanto che, negli ultimi anni è diventato uno degli elementi che lo contraddistinguono, insieme alla lavorazione della “porchetta” e alla coltivazione della vite. Essa si situa su una collina alla destra del fiume Aventino proprio ai piedi della Grande Madre Majella ed il suo territorio, grazie anche alla presenza di tale fiume, è molto fertile
Casoli e il suo castello
Al centro del paese si staglia l’imponente sagoma del castello ducale che con le sue pietre chiare danno un aspetto quasi magico a questa ieratica costruzione; esso sorge su un antico insediamento dei Carracini, popolazione di ceppo sannitico, chiamato “Oppidum Cluviae” e risalente al V secolo a. C. e fu, tra le tante cose, presidio del console Aulio Cerretano, e questo insediamento divenne fondamentale dopo la sconfitta dei romani alle Forche Caudine.
Nel territorio di Casoli e più precisamente in località piano la Roma si trovano i ruderi di un antico municipio romano la città di Cluviae. Secondo quando riporta Tito Livio nel 313 a. C. questa città fu presidiata dai romani per impedire che fosse conquistata dagli Etruschi così da diventare un serio problema per l’impero, in quanto avrebbe dato maggior impulso alla civiltà etrusca allora concreta minaccia per Roma.
Il castello d’altura di Casoli, che si sviluppa intorno alla torre d’avvistamento la quale era collegata a quella di Altino e alla torre di Prata nota anche come torretta, ed avamposto del feudo omonimo, fu per la prima volta menzionato tra i beni dei benedettini di Montecassino intorno all’anno mille. Sempre in questo periodo vi furono degli insediamenti di monaci di rito greco-bizantino che si stabilirono presso la torre del tenimento di Prata tra essi si annoverano diversi Santi eremiti come San Falco, San Franco, San Nicola e San Pietro da Morrone.
Successivamente il castello di Casoli divenneuna proprietà dell’immenso feudo di Manoppello e fu un regalo di nozze fatto a Napoleone Orsini da parte di sua moglie Tommasa Palearia, facente parte del ramo cadetto della potente casata dei principi Di Sangro e figlia unigenita di Gualtieri, gli Orsini erano, invece, principi del casato romano degli Orsini, che espansero il castello rispetto alla torre iniziale.
Sempre durante il dominio degli Orsini che vi fu la costruzione di una cappella privata all’interno del castello che, successivamente, con la realizzazione di due navate e il ulteriore ampliamento è divenuta poi, la Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Maggiore, che sorge proprio su un ala del castello ed insieme ad esso forma il nucleo centrale del borgo antico di Casoli. Dopo gli Orsini, il maniero, passo nelle mani di un condottiero di Perugia, Bartolomeo D’Alviano.
Nel 1500 fu feudo di diversi nobili tra i quali si annoverano i Colonna, i Carafa, baroni anche di Roccascalegna, i Crispano ed infine i D’Aquino di Napoli principi di Caramanico e duchi di Casoli che modificarono il castello fino a dargli l’aspetto attuale.
Durante il brigantaggio postunitario, Casoli, diede i natali a uno dei più spietati e feroci briganti che la storia abruzzese ricordi Domenico Valerio chiamato anche capitano Cannone. Ad egli e alla sua banda, una delle più grandi ed agguerrite del Meridione, furono attributi novanta delitti sottacendo altri reati contro la persona ed il patrimonio. Il cadavere del Capitano Cannone non fu mai trovato e questo ha alimentato ancor di più il suo mito di “primula rossa” del brigantaggio.
La sfera d’azione della banda Cannone, era molto vasta e si estendeva dai confini dello stato pontificio fino al Molise ed anche se prediligeva la zona di Roccascalegna e dintorni non disdegnava incursioni anche nell’entoterra vastese o molisano dove pare che Domenico Valerio fu ucciso in uno scontro a fuoco con le forze dell’Ordine del neonato Stato italiano.
Nel 1800 gli inquilini del castello furono la famiglia Masciantonio, tra cui spicca la figura di Pasquale, sindaco di Casoli negli 1895 e 1900, fu Deputato per più di venti anni e sottosegretario alle Poste e alle Finanze fu uno di coloro che realizzarono la ferrovia Sangritana su progetto di Ernesto Besenzanica.
Durante il periodo che i Masciantonio abitarono al castello, questo divenne un cenacolo letterario che ospitò tra gli altri D’Annunzio, come testimoniano i graffiti lasciati sul muro della stanza dove fu ospite del suo amico e forse parente, Pasquale. Oltre a D’Annunzio a questo circolo letterario fecero parte anche figure di alto spessore artistico della levatura di Michetti, Francesco Paolo Tosti, lo scultore Bardella e Gugliemo Marconi.
Il castello Ducale durante la Seconda Guerra Mondiale fu trasformato dai tedeschi prima e dagli inglesi poi in luogo di controllo del territorio circostante ed esso fu visitato, tra le tante personalità, anche dal Generale Montgomery dopo la fine del conflitto.
Questa cittadina uscì dalla Seconda Guerra mondiale con ingenti danni in quanto si trovava relativamente a ridosso della linea Gustav. Nel 1943 alcuni partigiani si unirono per formare la cosiddetta Brigata Majella che diede tanto impulso alla liberazione dell’Italia dal giogo nazi-fascista. Gli orrori della guerra non risparmiarono neanche la magnifica chiesa di Santa Reparata costruita intorno alla prima metà del 1400, che fu danneggia pesantemente da una bomba che produsse uno squarcio nel soffitto e che poi si è provveduto a restaurare.
Nel 1982 il castello divenne proprietà del comune ma oltre al maniero, Casoli, può vantare anche numerosi palazzi nobiliari come Palazzo Tilli, con la particolarità del portale scolpito con motivi floreali, Palazzo Travaglini e De Vincentiis che sono completamente affrescati per sottacere archi e portici lussuosamente scolpiti e decorati.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale Casoli ha conosciuto un notevole sviluppo grazie anche all’ opera assidua del Barone Mosè Ricci che nei primi decenni del ‘900 fu fautore della realizzazione di un Consorzio di Bonifica del Sangro-Aventino che, poi dopo le vicende belliche delle due conflitti mondiali, portarono a un notevole sviluppo industriale tuttora in corso.
La Torretta di Casoli
La Torretta di Casoli o Feudo di Prada è l’unica testimonianza archeologico evidente di questo antico tenimento.
Essa si ubica su un poggio argilloso ricoperto da una folta vegetazione; le sue mura di roccia calcarea, in passato erano frammiste di pietre di colore rossastro che gli davano un aspetto solenne; tale costruzione oggi composta da un unico ambiente, era molto più grande da come si evince dai segni delle fortificazioni, dalle tracce di antiche mura e soprattutto dai toponimi riportati nell’oralità e nella tradizione popolare che ci consegna un possedimento abbastanza esteso.
Questo feudo la cui origine si perde nella notte dei tempi, rappresenta il primo centro di divulgazione della fede cristiana nella Valle dell’Aventino. Questo luogo, oggi, così impervio e solitario fu, nel IX secolo, ricovero di San Ilarione da Bitonto, San Orante da Ortucchio, San Nicola di Guardiagrele, San Falco di Palena, San Rinaldo di Fallascoso, San Franco di Francavilla tutti monaci di rito greco, inoltre la tradizione vuole che qui vi abbia dimorato anche San Pietro da Morrone prima di dirigersi verso Palena.
Il Feudo di Prata, così importante nel IX secolo da essere scelto come dimora dai più grandi santi eremiti di quel tempo, andò via via decadendo, finchè nella prima metà del XIV esso era, oramai, un luogo semi abbandonato.
Molto leggende sono nate sui ruderi di questo feudo e una di esse racconta che tanti e tanti anni fa un contadino intento nei lavori di aratura del terreno nei pressi della torretta, urto un oggetto metallico, che risultò essere un forziere pieno di monete d’oro; alcuni sostennero che si trattava del tesoro dei signori di Prata, altri asserirono che si trattava dell’oro dei briganti, altri ancora del tesoro delle fate, ma nessuno seppe più nulla del contadino e dei suoi tesori!
La Chiesa di Santa Reparata Casoli
La chiesa di Santa Reparata fu edificata nel 1447 secondo quanto si legge da una lapide incastonata nella parete sinistra della navata di tale edificio che commemora l’evento della posa della prima pietra avvenuta il giorno del primo novembre di tale anno.
Essa originariamente dedicata a Santa Liberata, intorno alla fine del 1600 viene, invece, intitolata a Santa Reparata per ragioni ancora oscure.
Questo luogo di culto che oggi si situa all’ingresso del paese nuovo, in passato fu edificato fuori le mura su un altura soggetta a frane in contrada Lame, forse perché, la tradizione vuole, che, qui su di un albero si sia manifestata l’immagine di Santa Reparata e tale pianta pare, secondo sempre la tradizione orale, sia stata murata alle spalle dell’altare maggiore; meno prosaicamente questo luogo aveva la funzione di proteggere e monitorare uno snodo nevralgico che dalla Valle dell’Aventino conduceva a Napoli.
Sempre in tema di leggende popolari si dice che, come si legge sulla lapide succitata, pare che la chiesa di Santa Reparata sia stata costruita qui per adempire ad un voto fatto alla Santa in occasione di una pestilenza e che sempre in quell’occasione un gruppo di persone di Casoli sia andato a chiede al pontefice la salma della Beata e che questo gli sia stato concesso dal Papa stesso che prelevò il feretro dalle catacombe dandolo in mano a tali delegati.
La chiesa di Santa Reparata in Casoli ha tre navate con pilastri che la delimitano, la facciata restaurata intorno alla metà del 1900, ricorda la basilica di Santa Maria di Collemaggio e quella di San Bernardino; all’interno, invece, vi sono elementi architettonici del 1539 e le statue dei santi sono barocche.
Oltre a Santa Reparata vi sono San Filippo e San Giacomo; si può ammirare, inoltre, il drappo raffigurante Maria Ausiliatrice, che durante la guerra mondiale fu invocata più volte come protettrice del paese; ironia del destino, però, tale edificio fu danneggiato da una bomba che, sempre in questo triste periodo storico, cadendo sulla navata destra distrusse alcuni quadri che decoravano il soffitto fatto di cassettoni intagliati impreziositi da ori ed argento ad opera dell’artista veneziano Vittorio Buzzacarino che lo dipinse nel triennio che va dal 1603 al 1606; questa opera d’arte dichiarata Monumento Nazionale, fu sottratta durante i lavori di restauro e mai più ritrovata.